Articolo tecnico che ha il compito spiegare a tutti gli appassionati della coltivazione di frutta e verdura come poter rilanciare e migliorare questa importante passione in modo economico, sostenibile e biologico.
Introduzione.
Come prima cosa è necessario spiegare che cosa si intende per “cassaforma” o “cassero”. Il cassero o cassaforma, termine tecnico che si utilizza in edilizia, è tipicamente il contenitore ligneo o metallico che viene costruito per gettare in opera un muro o una fondazione di un edificio. Questa tecnica può essere utilizzata per costruire l’orto di casa o per delimitare aiuole rialzate rispetto al terreno circostante.
Vantaggi dell’utilizzo di una cassaforma.
Ci sono moltissimi vantaggi che possono spingere un appassionato ad impiantare il suo orto all’interno di una cassaforma. Schematicamente si possono così riassumere:
• a livello estetico l’orto è molto più definito, compatto ed ordinato;
• la cassaforma permette di contenere tutto il substrato ed i concimi che si utilizzano senza che vi siano sprechi di materiale;
• è possibile rialzare a piacimento il terreno su cui coltivare permettendo alle persone di lavorare addirittura in piedi senza doversi chinare fino a livello del terreno;
• impedisce alle radici delle erbe infestanti di penetrare all’interno dell’orto; a tal proposito è fondamentale impiantare i pannelli per almeno 10 cm nel terreno;
• impedisce a buona parte delle sementi delle erbe infestanti di essere trasportate all’interno dell’orto diminuendo notevolmente le ore impiegate per la manutenzione;
• mantenendo i bordi del cassero almeno 30 cm più alti rispetto al terreno coltivato al suo interno è possibile coprire con semplici teli di tessuto non tessuto l’orto per consentire la produzione invernale (si ricorda che almeno il 50% delle colture orticole sono molto resistenti alla basse temperature ma poco resistenti all’umidità, si vedrà successivamente come sfruttare questo aspetto);
• durante la stagione estiva (luglio ed agosto rappresentato il periodo di maggiore calura) è possibile utilizzare il cassero per appoggiare reti ombreggianti che permettono una minore evapotraspirazione del terreno permettendo alle colture di potersi sviluppare ugualmente. Si ricorda che la produzione dell’orto diminuisce fortemente in questo periodo in quanto le essenze necessitano di molta acqua per potersi sviluppare e tendono ad appassire velocemente in terreni argillosi che si essiccano facilmente.
Si possono utilizzare diversi materiali: legno (pannelli, travetti, assi o tronchi), metallo, pietrame (blocchi di tufo, pietre squadrate in blocchi o lastre) o materiali plastici (pannelli di resina o polietilene). Ognuno di questi presenta vantaggi e svantaggi. Il legno è senza dubbio il più economico, il più naturale ed il più facile da reperire e da installare, ma si deteriora molto velocemente. La pietra è il materiale più duraturo, sia se installata a secco che con malte cementizie ma è più difficile da reperire e abbastanza costosa. Il metallo è il materiale più costoso perché deve essere acquistato e sagomato su misura, inoltre se non viene zincato o se non si utilizzano acciai arrugginisce immediatamente andando a liberare troppo ossido di ferro nel terreno. I materiali plastici sono anch’essi abbastanza costosi perché si devono obbligatoriamente scegliere resine o polietileni che non vengono aggrediti dai raggi solari. I raggi UV rompono le molecole della plastica tradizionale che nel giro di poco tempo si indebolisce e crepa andando letteralmente ad inquinare il suolo.
Questa grande possibilità di impiego di materiali diversi non ci permette di descrivere le modalità realizzative della cassaforma perché variano moltissimo in virtù della scelta che si effettua. Il consiglio che è fondamentale fornire è comunque quello di impiegare materiali il più possibile naturali e di evitare di utilizzare trattamenti o sostanze chimiche che, appositamente impiegate, possono prolungare la vita della cassaforma. Tali sostanze sarebbero a diretto contatto con frutta e verdura di cui ci ciberemo. Meglio veder marcire naturalmente un pannello di legno che può essere facilmente sostituito piuttosto che trattarlo con catrami o impregnati chimici!
Figura 1 – Fotografia di dettaglio della tipologia di pannelli scelti per costruire il cassero e del materiale utilizzato per pacciamare la corsia laterale di accesso all’orto.
Figura 2 – Fotografia di dettaglio della tipologia di pannelli scelti per costruire il cassero e del materiale utilizzato per pacciamare un’area di lavoro limitrofa all’orto.
In Figura 1 e Figura 2 è possibile notare un dettaglio del materiale utilizzato dalla Geosism & Nature per eseguire la casseratura dell’orto della propria sede. Sono stati impiegati pannelli costruiti con scaglie di legno riciclato incollate con colle a base di pesce (che non contengono additivi chimici). I pannelli sono stati impiantati nel terreno per circa 10 cm e sono semplicemente inchiodati a pali di legno tenero (abete) infissi per 30 cm nel terreno. Si è optato per questi materiali in quanto sono tutti di recupero e permettono a chiunque di poter realizzare queste opere completamente a costo zero.
Costruzione delle corsie di accesso e delle aree di lavoro di pertinenza della cassaforma adibita ad “orto”.
Un altro aspetto molto importante è la scelta del materiale da utilizzare per pacciamare i camminamenti, le aree di accesso ai casseri e le aree di lavoro e manovra. Per poter operare sempre all’asciutto e per evitare il propagarsi di erbe infestanti che possono danneggiare le colture, se si decide di costruire un orto con più linee di casseri o se nelle zone limitrofe all’orto sono presenti aree di lavoro, il consiglio che si da è di pacciamare tali aree lasciando totalmente inalterato il terreno sottostante per permettere all’acqua piovana di infiltrarsi liberamente nel sottosuolo. Lo stesso dicasi per l’acqua di scolo a seguito delle irrigazioni. Si sconsiglia di lastricare con pavimentazioni in cemento perché oltre ad impermeabilizzare il suolo (dettaglio da non trascurare e da evitare il più possibile), tali tecniche creano ristagno e, aspetto ancora peggiore, durante la pioggia convogliano l’acqua a ridosso dell’orto inzuppando il terreno che deve invece essere sempre ben drenato e con il giusto grado di umidità. Un substrato di coltivazione tendenzialmente argilloso (la maggior parte dei suoli presenti sul territorio è costituito da litologie superficiali limoso-argillose) durante la stagione invernale, in occasione di eventi piovosi duraturi, produce marcescenza radicale delle colture. A tale scopo risulta molto importante valutare l’impiego di micorrize che eliminano i problemi del marciume radicale su molte specie orticole. Di questo aspetto se ne parlerà in seguito.
In Figura 1 è possibile notare il materiale utilizzato per pacciamare le corsie laterali di accesso all’orto. È stata utilizzata una striscia costituita da un materiale simile a quello che si impiega per costruire gli pneumatici (che non si deteriora con il sole e l’acqua). Questo materiale viene solitamente impiegato nei frantoi di ghiaia e sabbia per costruire i nastri trasportatori per gli inerti come mostrato nella Figura 3.
Figura 3 – Fotografia di un rullo per frantoio utilizzato per accumulare i prodotti della lavorazione (ghiaie e sabbie) in cumuli.
Si tratta sempre di materiali riciclati o meglio riutilizzati che sono facilmente reperibili nei frantoi di inerti. Tali rulli una volta deteriorati vengono dismessi e solitamente smaltiti mal volentieri dalle ditte a causa dei prezzi elevati che vengono richiesti; quindi, risulta piuttosto semplice ottenerli senza costo alcuno. Questi nastri sono perfetti per lo scopo precedentemente descritto:
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• sono praticamente indistruttibili;
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• non sono nocivi per le colture;
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• sono neri o molto scuri e quindi permettono all’acqua che si accumula al di sopra di evaporare velocemente;
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• durante la stagione invernale, sempre grazie al loro colore, attirano i raggi del sole e lo trattengono conferendolo alle limitrofe piantine;
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• sono leggermente modellabili, quindi sistemando il terreno naturale al di sotto a “schiena d’asino” (come nei campi da calcio), scaricano completamente l’acqua lateralmente e non producono ristagni o, diversamente, se l’orto è costruito in pendenza come in Figura 1, sistemate a cunetta convogliano le acqua per laminazione al di fuori dell’orto;
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• consentono di lavorare sempre all’asciutto evitando alle persone di infangare le scarpe;
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• non permettono alle erbe infestanti di crescere e di propagarsi nell’orto;
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• utilizzandoli si conferisce una seconda vita ad un prodotto che dovrebbe essere buttato o comunque smaltito;
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• infine, aspetto da non sottovalutare, come precedentemente descritto si possono reperire anche gratuitamente.
In Figura 2 è invece rappresentata un’altra tipologia di pacciamatura: il classico telo verde o nero appositamente acquistato. In questo caso si è optato per la scelta di un diverso materiale perché si tratta di un’area di lavoro più ampia dove circolare con attrezzi, mezzi e dove posizionare vasi per periodi di tempo anche lunghi. Serve un materiale che sia in grado di coprire una superficie maggiore. Il telo è stato perfettamente steso e fissato al suolo utilizzando chiodi da legno molto lunghi e spessi con una rondella infilata nella testa per aumentarne la superficie ancorante. Anche i teli di pacciamatura sono preziosi per questa tipologia di operazione, ma a differenza dei nastri trasportatori precedentemente descritti presentano vantaggi e svantaggi:
• permettono di coprire superfici superiori e di essere modellati a completo piacimento;
• sono totalmente permeabili, quindi non necessitano di essere posizionati con pendenze particolari perché l’acqua passa attraverso la trama di fili plastici;
• consentono di lavorare sempre all’asciutto evitando alle persone di infangare le scarpe;
• non permettono alle erbe infestanti di crescere e di propagarsi nell’orto;
• durante la stagione invernale, sempre grazie al loro colore, attirano i raggi del sole e trattengono calore conferendolo alle limitrofe verdure dell’orto;
• hanno lo svantaggio di essere costruiti da materiali plastici che con il sole e le intemperie si possono deteriorare, rompere e disgregare. Per chi possiede animali, a lungo andare con il calpestio tendono a forarsi;
• sono abbastanza costosi.
La scelta del substrato di coltivazione.
Fino ad ora si è parlato di come realizzare fisicamente la cassaforma, le relative corsie di accesso e gli spazi limitrofi di lavoro. Rimane da trattare l’aspetto più importante: il substrato di coltivazione! Ci sono innumerevoli possibilità e tipologie di substrati che si possono utilizzare per coltivare un orto. Il consiglio della Geosism & Nature è quello di cercare di utilizzare sempre il substrato naturale presente in giardino opportunamente modificato e/o lavorato per migliorare gli aspetti qualito-quantitativi della produzione, gli aspetti chimico-fisici del terreno originario e per aumentarne la fertilità. È sempre possibile impiegare prodotti (terricci, substrati, concimi ed ammendanti) che siano consentiti in agricoltura biologica e che permettano di produrre frutta e verdura totalmente biologica.
Figura 5 – Pomice 7/14 mm, a sinistra.
Figura 4 – Vulcaflor 0/10 mm, a destra.
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Il vulcaflor è un substrato premiscelato naturale costituito da prodotti di origine vulcanica leggermente ammendati con un mix di torbe bionde e brune. Precisamente si tratta di pomice e lapillo vulcanico in granuli ed in sabbia miscelati con le menzionate torbe. Si sconsiglia fortemente l’impiego di torbe pure acquistabili nei classici sacchi da 70 litri in quanto la torba è un ammendante di primo intervento; quindi, migliora le caratteristiche chimico fisiche di un suolo a breve termine. Ciò significa che nell’arco di 2 o 3 mesi al massimo si esaurisce totalmente. È solo una diceria il fatto che è economica. Infine, il problema principale è che al secondo anno di coltivazione gli elementi nutritivi saranno totalmente esauriti; si incominceranno a vedere i tipici effetti causati dall’impiego delle torbe:
• totale disseccamento della porzione superficiale anche solo dopo 1 giorno dall’irrigazione o il totale disseccamento dell’intero volume impiegato a pochi giorni dall’irrigazione;
• quasi totale improduttività di frutta, verdura o fiori che risultano come bloccati all’interno di questo substrato già a partire dal secondo anno di coltivazione;
• le torbe contengono quasi esclusivamente carbonio (C) e azoto (N); è difficile trovare torbe che abbiamo un buon contenuto di fosforo (P) e potassio (K). Ricordiamo che l’azoto è l’elemento che viene principalmente utilizzato dalle essenze vegetali per permettere lo sviluppo della porzione verde della pinta (foglie e rami). Fosforo e potassio sono i principali responsabili della fioritura e della fruttificazione che è esattamente quello che si ricerca in un orto o in un frutteto. Il potassio, inoltre, è l’elemento principale che stimola la radicazione. In ogni caso, la pianta, per poter assolvere ai suoi processi vitali e metabolici in modo completo deve sempre avere tutti questi macroelementi a disposizione. Oltre ai citati sono ovviamente indispensabili anche i microelementi ma in percentuali inferiori. Giusto per citarne uno, il ferro (Fe) è uno dei microelementi responsabili della colorazione delle foglie (un fogliame verde chiaro o addirittura un colore vergente al giallo sono sintomo di carenza di ferro nel terreno);
• un substrato costituito da sola torba quando viene bagnato infradicia immediatamente la radice della pianta e assume le fattezze di un suolo quasi fangoso; questo aspetto a volte stimola la formazione di marcescenze nell’apparato radicale.
Il vulcaflor risulta quindi il miglior substrato da utilizzarsi per impiantare una coltivazione a partire da zero; questo non significa che non può essere ulteriormente migliorato. Vedremo di seguito in che modo.
Nella stragrande maggioranza dei casi ci si trova dunque a dover migliorare il terreno naturale già presente nel proprio orto-giardino. Questa è senza dubbio la situazione migliore a cui approcciarsi in quanto i terreni naturali posseggono sempre dei grandi vantaggi se utilizzati come substrati di partenza. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, come precedentemente descritto, tendono ad essere eccessivamente compatti, asfittici, difficili da lavorare e addirittura poco produttivi se sfruttati per anni senza mai essere oggetto di cicli di concimazione calibrati.
Figura 6 – Tipico aspetto di un suolo limoso-argilloso che non viene adeguatamente irrigato per pochi giorni durante la stagione più calda.
Partendo da un classico suolo limoso-argilloso, che visivamente si presenta come in Figura 6 dopo solo pochi giorni di assenza di irrigazione, è possibile fare moltissimo impiegando substrati assolutamente naturali. Si parla di substrati principalmente di origine vulcanica (che è la composizione base del vulcaflor) che per la loro particolare origine sono tendenzialmente leggeri, porosi e sabbioso-granulari. Risulta semplice comprendere come tali prodotti conferiscono immediatamente capacità drenante al terreno di coltivazione.
Sia pomice che lapillo, i principali minerali di origine vulcanica disponibili sul mercato, hanno il grande vantaggio di contenere un gran numero di elementi nutritivi che sono tutti indispensabili per la coltivazione delle piante. Non è un caso che fin dall’antichità le pendici dei principali vulcani italiani erano riccamente coltivate; la fertilità dei citati suoli era motivo di lustro per le popolazioni che ivi vivevano.
Un altro aspetto di cui si possono vantare questi minerali è la così detta capacità di scambio cationico[1] (CSC) che tutti posseggono in maggiore o minore percentuale. Senza dubbio pomice 3/7 mm (cfr. Figura 7) e lapillo 3/5 mm (cfr. Figura 8) sono i prodotti base da cui partire (si può quindi pensare di impiegare direttamente il vulcaflor che li contiene in percentuali già calibrate), ma il prodotto che farà la differenza è la zeolite: si tratta del minerale che in assoluto possiede la maggiore CSC tra tutti, all’incirca 6 o 7 volte superiore ai suoi fratelli vulcanici citati pocanzi.
[1] La capacità di scambio cationico (spesso abbreviata con CSC) è la quantità di cationi scambiabili, espressa in milliequivalenti per 100 grammi (meq/100g), che un materiale, detto scambiatore, dotato di proprietà di adsorbimento può trattenere per scambio ionico. Lo scambio ionico rappresenta uno dei principali meccanismi con cui il terreno trattiene e mette a disposizione delle piante e dei microrganismi elementi quali il calcio, il magnesio, il potassio, l'azoto ammoniacale, perciò la CSC è un indice della potenziale fertilità chimica del terreno (https://it.wikipedia.org/wiki/Capacit%C3%A0_di_scambio_cationico).
Figura 7 – Pomice 3/7 mm, a sinistra.
Figura 8 – Lapillo 3/5 mm, a destra.
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Esistono diversi tipi di zeolite sul mercato, ma 2 in particolare sono quelle maggiormente adatte per lo scopo che si vuole raggiungere; la zeolite a base di cabasite e phillipsite e la zeolite a base di clinoptilolite. Queste due tipologie sono quelle che presentano la maggiore CSC riscontrabile in natura. Ma cosa si intende in pratica per CSC? Si intende la capacità che ha un minerale di adsorbire elementi nutritivi e di renderli immediatamente disponibili per l’apparato radicale le piante (cfr. Figura 9).
Figura 9 – Schema esemplificativo di come si manifesta la capacità di scambio cationico (CSC) all’interno si un suolo che contiene zeolite (https://it.wikipedia.org/wiki/Capacit%C3%A0_di_scambio_cationico).
Le zeoliti sono minerali facenti parte della grande famiglia dei silicati, in particolare si tratta di alluminosilicati idrati di elementi alcalini (Na, K e Ca). Sono più precisamente definiti come tectosilicati di origine idrotermale. In zone vulcaniche ove ci sono delle introflessioni del mantello nella crosta terrestre, esiste la possibilità che vi siano fluidi caldi che circolano in profondità. Col passare del tempo questi fluidi depositano, grazie all’elevato calore, gli elementi che hanno in carico e vanno a costituire queste rocce che successivamente prenderanno il nome di zeoliti (cfr. Figura 10).
Figura 10 – Processo di formazione della zeolite, nella parte centrale dello schema è possibile vedere come le acque inizialmente fredde che si infiltrano all’interno della crosta terrestre vengano riscaldate dalla presenza di una camera magmatica superficiale depositando rocce costituite da tetraedri silicei con Na, Ca, Mg e K (https://www.unionegeotermica.it/cosa-e-energia-geotermica.asp).
Si è quindi parlato di zeolite a base di chabasite e phillipsite 2/5 mm (cfr. Figura 12) e di zeolite a base di clinoptilolite 1,6/3 mm (cfr. Figura 11). Entrambe sono ideali per l’obiettivo prefissato. Sono minerali fondamentali per garantire una fiorente coltivazione dell’orto. Affinché si esplichi la tanto ricercata CSC è necessario che questi minerali vengano inseriti nel substrato di coltivazione in percentuale pari al 20% - 30% sul volume complessivo. Utilizzarne meno non permetterebbe alla CSC di manifestarsi e utilizzarne di più sarebbe inutile.
Figura 12 – Zeolite a base di chabasite e phillipstite 2/5 mm, a sinistra.
Figura 11 – Zeolite a base di clinoptilolite 1,6/3 mm, a destra.
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I vantaggi pratici dell’utilizzo della zeolite sono i seguenti:
• gli elementi nutritivi già contenuti nel terreno e quelli forniti con le concimazioni successive si legano al reticolo cristallino del minerale senza essere dispersi nelle profondità del suolo e vengono ceduti direttamente all’apparato radicale della pianta consentendo una concimazione permanente, continua e duratura (cfr. Figura 9);
• la grande capacità di ritenzione idrica conferisce al terreno la possibilità di avere acqua a disposizione della misura del 20% - 30% in più rispetto ad un substrato normale; pertanto, le irrigazioni si riducono di pari percentuale;
• è un minerale molto poroso e leggero, conferisce drenaggio e consente a suoli limoso-argillosi di compattarsi meno divenendo maggiormente lavorabili (proprietà che condivide assieme alla pomice ed al lapillo vulcanico).
La domanda che sorge quindi spontanea è: quale scegliere?
La chabasite e la phillipsite hanno una maggiore ritenzione idrica: 30% - 40%; la clinoptilolite arriva al 24% - 25%, quindi le prime sono da preferirsi in suoli che tendono ad asciugarsi molto velocemente.
La CSC è quasi uguale 210 meq/100g di cabasite e la phillipsite contro 217 meq/100g della clinoptilolite.
A livello chimico la cabasite e la phillipsite posseggono il doppio del potassio (K) rispetto alla clinoptilolite: 6,1% contro 3,2%; lo stesso dicasi del magnesio (Mg): 6,1% contro 3,2% e del ferro (Fe) 3,6% contro 2,0%. Il calcio, l’alluminio (Al) ed il Sodio (Na) sono sostanzialmente paragonabili. Al contrario il silicio (Si) nella cabasite e la phillipsite è pari a 52% mentre nella clinoptilolite è oltre il 70%.
Il silicio rappresenta l’ultima avanguardia negli studi agrari. Il Silicio incrementa la produttività e la qualità delle produzioni agricole. Numerose sperimentazioni in campo hanno dimostrato che, mediante la fertilizzazione con prodotti a base silicio, si ottiene un aumento delle produzioni, promuovendo nello stesso tempo il mantenimento di una agricoltura sostenibile (http://www.bioyvy.com/il-ruolo-del-silicio.html). La fertilizzazione minerale con silicio ha vari effetti sul sistema suolo-pianta:
• la fertilizzazione a base di Silicio permette un rafforzamento della pianta, ne aumenta le capacità di immagazzinamento e distribuzione dei carboidrati richiesti per la produzione e l'accrescimento dei frutti;
• stimola la crescita e l'attività delle strutture polimeriche nella cuticola, i tricomi e i fitoliti nella superficie della foglia, fondamentale per l’autodifesa contro malattie causate da funghi, batteri, insetti e acari. Al tempo stesso, rende la pianta più resistente a condizioni climatiche sfavorevoli;
• il trattamento del suolo con sostanze a base di silicio biologicamente attive, ottimizza la fertilità del suolo, migliorando la ritenzione e la disponibilità di acqua, ne migliora le proprietà fisico – chimiche, mantenendo i nutrienti in forma disponibile per la pianta.
Qualora il terreno naturale sia particolarmente argilloso e povero di sostanza organica, si può anche decidere di ammendarlo fornendo humus di lombrico (cfr. Figura 14); si tratta di un prodotto che ha proprio la funzione di velocizzare il processo metabolico della pianta con l’apporto di azoto, sostanza organica e carbonio esaurendosi nel corso di 2 o 3 mesi di coltivazione.
Un altro prodotto alternativo è la fibra di cocco, che si presenta in tre differenti formati fine 0/3 mm (cfr. Figura 13), media 0/10 mm (cfr. Figura 15) e grossolana 0/25 mm (cfr. Figura 16). La sostanziale differenza, oltre che granulometrica, è dovuta semplicemente alla lavorazione del prodotto. La fibra 0/3 è granulometricamente quasi paragonabile ad una classica torba, ma contenendo piccole particelle di fibra, conferisce maggiore igroscopicità al terreno, la media 0/10 mm permette di aumentare ulteriormente questa proprietà e la grossolana 0/25 mm è perfetta per suoli molto poveri di sostanza organica che si asciugano molto velocemente. La peculiarità di quest’ultima è proprio la capacità di conferire drenaggio e leggerezza al suolo; l’importante contenuto di fibre e di parti del mallo del cocco consentono una lenta e naturale decomposizione di questi componenti che permettono un lento rilascio di sostanza organica nel substrato.
Figura 14 – Humus di lombrico, a sinistra.
Figura 13 – Fibra di cocco fine 0/3 mm, a destra.
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Figura 15 – Fibra di cocco media 0/10 mm, a sinistra.
Figura 16 – Fibra di cocco grossolana 0/25 mm, a destra.
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La preparazione del terreno.
Dopo aver scelto i substrati idonei per modificare e migliorare le caratteristiche chimico-fisiche del suolo di coltivazione del proprio orto è necessario lavorare adeguatamente il terreno per far si che vi sia omogeneità di distribuzione dei vari prodotti.
La soluzione migliore è senza dubbio quella di provvedere ad un diserbo meccanico delle essenze infestanti. Processo da realizzare manualmente (si sconsiglia fortemente l’impiego di diserbanti chimici che possono andare ad inficiare la successiva produzione e che possono inquinare irrimediabilmente il terreno). Il passo successivo è la fresatura del suolo naturale, fino ad una profondità di circa 20 – 25 cm. Questo intervento può essere fatto meccanicamente con una zappatrice elettrica o a motore oppure manualmente prima vangando il terreno e andando poi a sminuzzare le scaglie più grossolana con una zappetta. Si tratta di un’operazione molto importante perché permette al terreno di essere mescolato fino in profondità, arieggiandolo ed in parte migliorandone il drenaggio.
L’operazione successiva consiste nello spargere in modo uniforme i prodotti scelti e descritti in precedenza in strati omogeni e di egual spessore su tutta la superficie da coltivare. Come già spiegato la scelta verterà sulle esigenze di ogni singolo orto, ma senza dubbio i prodotti che si consigliano sono vulcaflor (in alternativa pomice e lapillo), zeolite (a scelta tra cabasite e phillipsite o clinoptilolite) ed eventualmente un ammendante di primo intervento a scelta tra humus di lombrico e fibra di cocco.
I prodotti vulcanici devono essere presenti sul volume di terreno lavorato almeno per il 40% - 50% altrimenti risultano poco influenti (si deve considerare che la sola zeolite deve essere presente in una percentuale compresa tra il 20% ed il 30%).
Successivamente si procederà con una seconda fresatura che dovrà scendere in profondità nel terreno al massimo per 15 cm. Quindi, riepilogando, si è proceduto inizialmente a muovere uno strato di terreno naturale di 20 - 25 cm, si devono ora stendere i substrati vulcanici descritti andando a creare uno strato di 6 - 8 cm per poi fresare nuovamente 15 cm di materiale. Questo comporta che i 10 cm di suolo più profondi non verranno miscelati con i substrati vulcanici. Si tratta di un aspetto fondamentale perché la radice delle principali essenze orticole lavora e si muove proprio all’interno dei primi 15 - 20 cm di terreno dove la maggior parte dei peli radicali atti alla ricerca degli elementi nutritivi sono presenti in maggior quantità. Ed è proprio questo spessore di terreno che si deve cercare di migliorare sia in termini fisici (porosità, arieggiatura, ecc…) che chimici (presenza di elementi nutritivi).
Figura 17 – Schema di un suolo con essenze in coltivazione, raffigurante lo sviluppo dell’apparato radicale in funzione della tipologia di pianta.
A profondità maggiori arrivano le radici fittonanti che hanno come funzione principale l’ancoraggio ed eventualmente la ricerca dell’acqua più profonda quando la superficie risulta totalmente asciutta; quindi, in questa porzione di suolo non è indispensabile che siano presenti i prodotti vulcanici descritti (cfr. Figura 17).
Nello schema rappresentato in Figura 17 si possono intravedere gli orizzonti litologici principali presenti in un suolo tipo. Questo concetto viene meglio rappresentato in Figura 18.
Figura 18 – Schema di un suolo con essenze in coltivazione, raffigurante i tipici orizzonti litologici.
I vari orizzonti sono solitamente così descritti (gli spessori indicati sono spessori medi, ma possono avere variazioni notevoli a seconda della latitudine in cui ci si trova):
• O = suolo organico, si tratta dei primi 5 - 10 cm di terreno che presentano il maggior contenuto di sostanza organica, indispensabile per la vita e fondamentale nella coltivazione dell’orto;
• A = suolo organico misto a minerali, si tratta di uno spessore di terreno pari a circa 30 – 50 cm, all’interno del quale si trova ancora una buona componente organica mista alla componente minerale, indispensabile per la vita e le funzioni metaboliche della pianta;
• B = suolo a composizione variabile tra sabbia, silt o argilla, si tratta di uno spessore di terreno estremamente variabile, tra i 50 cm ed i diversi metri, all’interno del quale la componente organica è molto scarsa, la componente minerale è estremamente variabile e dipende dalle rocce più profonde che per alterazione lo hanno originato. La granulometria può variare dalla sabbia, al silt all’argilla;
• C = sottosuolo o substrato a componente rocciosa, si tratta di uno spessore di terreno estremamente variabile, tra i pochi cm ed i diversi metri, all’interno del quale si ritrova la matrice dello strato precedente (sabbia, silt o argilla) intercalata da clasti o frammenti della roccia costituente il letto roccioso originario;
• D = letto roccioso, è l’ultimo strato, con spessori che possono arrivare anche a centinaia di metri ed è costituito dalla roccia madre inalterata.
La scelta delle concimazioni e degli ammendanti.
La concimazione è senza dubbio un aspetto cruciale. È necessario fornire al terreno elementi nutritivi in modo graduale e moderato nel corso del tempo per far si che le colture non siano mai soggette a “stress da eccesso di concimazione” o al contrario a “stress da carenza di nutrienti”. Capita spesso che quando si coltiva per mesi senza fornire mai nessun nutrimento al suolo, con la prima massiva introduzione di concimi ternari, può accadere che le colture subiscano un blocco. Si possono manifestare bruciature dell’apparato radicale o delle foglie. Per tali motivi, si consiglia l’impiego di concimi sia granulari che liquidi da apporre nel terreno nel corso del tempo ed in momenti differenti durante la stagione vegetativa. Meglio se le concimazioni sono consentite in agricoltura biologica e se sono a lenta cessione.
I migliori ammendanti[1] sono senza dubbio due, la leonardite (cfr. Figura 21) e la lignite (cfr. Figura 20). Secondo la Legge 784/84 solo a leonardite in senso stretto è considerata tale. Si riporta per correttezza e precisione metodologica l’elenco degli ammendanti organici naturali consentiti e previsti dalla Legge 784/84 in Figura 19.
[1] Con il termine ammendantesi si intende qualsiasi sostanza naturale o sintetica, minerale od organica, capace di migliorare le caratteristiche chimico-fisiche, biologiche o minerali di un terreno (https://it.wikipedia.org/wiki/Ammendante).
Si vuole tuttavia ricordare che nel processo di carbogenesi[1], si passa da:
[1] Con il termine carbogenesi (o carbonificazione) si indica il processo che porta ad una graduale perdita di ossigeno, azoto ed idrogeno (con conseguente aumento del tenore di carbonio) dai tessuti vegetali (ad esempio legno), che vengono sottratti in seguito al contatto con l'aria oppure, se tali tessuti vegetali sono sottoposti ad elevate pressioni, ad aumento di temperatura o all'azione di funghi e batteri (https://it.wikipedia.org/wiki/Carbogenesi).
• torba (in agricoltura è considerata biologica);
• lignite (in agricoltura non è considerata biologica);
• litantrace;
• antracite;
• grafite (la grafite è la fase stabile del carbonio a pressione e temperatura ambiente, il diamante è la fase stabile del carbonio ad alte pressioni e temperature; chimicamente sono esattamente la stessa cosa con la differenza che la grafite si utilizza per fare le matite mentre il diamante per gioielli costosissimi!).
La leonardite è associata a depositi di lignite vicino alla superficie. Si pensa che siano stati formati dall'ossidazione della lignite stessa. Essa è invece considerata biologica in agricoltura. Che differenza sussiste tra i due prodotti? Praticamente nessuna. A livello composizionale sono quasi identiche, la leonardite contiene il 34% di carbonio organico di origine biologica mentre la lignite il 42%. Questo aspetto e la differente granulometria con la quale solitamente si presentano in commercio fa si che la lignite abbia una durabilità di circa 2 o 3 anni nel suolo mentre la leonardite di circa 1 o 2 anni.
Figura 19 – Elenco degli ammendanti organici naturali e relativi titoli minimi e massimi previsti dalla Legge 784/84. (http://www.crpa.it/media/documents/crpa_www/Settori/Ambiente/gdabenessere/guida53.htm).
Figura 21 – Leonardite 0/5 mm, a sinistra.
Figura 20 – Lignite 2/15 mm, a destra.
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Un altro eccezionale concime a lenta cessione (dura all’incirca 1 o 2 anni nel terreno) è senza dubbio la cornunghia, consentita in agricoltura biologica, è azoto organico puro a lenta cessione (cfr. Figura 23). Un concime similare può essere il lupino macinato, che oltre all’azoto contiene anche carbonio (C), rame (Cu) e zinco (Zn). Il lupino è un concime ideale per gli agrumi e per tutte le piante acidofile (cfr. Figura 22).
Figura 23 – Cornunghia 2/8 mm, a sinistra.
Figura 22 – Lupino 1/3 mm, a destra.
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La lista dei concimi è infinita, ma per citare un ottimo prodotto ternario (NPK) non si può non pensare al prodigy plus (cfr. Figura 25 e Figura 24). Si tratta di un concime che presenta una titolazione NPK 7-3-2. Questo aspetto è fondamentale perché oltre a conferire il classico azoto (N) nel terreno è anche un ottimo concime contenente fosforo (P) e potassio (K) che sono i due principali elementi responsabili della fioritura e della fruttificazione. Si scioglie all’incirca nell’arco di un mese o di un mese e mezzo e contiene P e K nonostante sia comunque consentito in agricoltura biologica. Si ricorda che la maggior parte dei concimi ternari che contengono alte percentuali di P e K non sono consentiti in agricoltura biologica in quanto questi due elementi sono generalmente di origine minerale. Un altro prodotto consigliato, proprio per l’elevato contenuto di P e K è il biocomplex 6-8-12 (cfr. Figura 25), anch’esso biologico e consigliabile per tutte le colture che necessitano di un’intensa fioritura e successivamente fruttificazione. Quest’ultimo si scioglie mediamente nell’arco di 1 mese dopo l’applicazione.
Figura 25 – Prodigy Plus, sacco, a sinistra.
Figura 24 – Prodigy Plus 1/4 mm, a destra.
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Figura 26 – Biocomplex 6-8-12, sacco, a sinistra.
Figura 27 – Biocomplex 6-8-12, a destra.
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Gli ammendanti ed i concimi descritti, devono essere sparsi correttamente al di sopra del terreno, secondo i dosaggi specifici di ciascun prodotto, sempre prima della fresatura. Questo procedimento deve essere eseguito ogni anno prima dell’impianto delle nuove colture perché una delle peculiarità di una concimazione a lenta cessione è proprio l’obbligatorietà di fornire regolarmente ad ogni stagione gli elementi che serviranno alle piantine per potersi sviluppare nel corso dell’annata produttiva.
Sarebbe opportuno trattare ora i concimi liquidi, in questo caso la varietà è estrema. La micorrizazione sarebbe un ulteriore aspetto altrettanto fondamentale. Di questi argomenti la Geosism & Nature ha già ampiamente parlato, pertanto si rimanda alla lettura dell’articolo intitolato “La linea di micorrize GEOMICOR – Consigli su come utilizzarla” disponibile all’interno del sito cliccando qui.
Conclusioni.
Sono stati affrontati molteplici aspetti in questo trattato. Per ognuno di essi sarebbe necessario un corso per poter comprendere meglio quale prodotto utilizzare in funzione del terreno di partenza. Si ricorda infatti che si è cercato di trattare il maggior numero di argomenti possibili e di descrivere altrettanti prodotti che non è necessariamente detto che siano tutti indispensabili per migliorare l’orto di casa.
Figura 28 – Effetti della coltivazione di un orto all’interno di una cassaforma dopo aver migliorato le caratteristiche chimico-fisiche del substrato con prodotti vulcanici, ammendanti e concimi a lenta cessione. La fotografia è stata realizzata durante una luminosa giornata invernale di dicembre con temperature pari a -1°C.
Per tali motivi si consiglia sempre di affidarsi a consulenti esperti: la Geosism & Nature è in grado di personalizzare l’impiego di tutti questi materiali in base alle specifiche richieste dei clienti.
La cura per l’orto è spesso una passione che coinvolge molti di noi e che sta prendendo sempre più piede nella società moderna come passatempo, come metodo di relax e come metodo di sostentamento famigliare. Sono in crescita le famiglie che scelgono di coltivare personalmente frutta e verdura di cui cibarsi. Per tali ragioni, un corretto approccio ed una corretta scelta dei materiali per la realizzazione dell’orto sono più che fondamentali per la riuscita di ogni progetto anche se di piccole dimensioni.
Coltivare un orto all’interno di una cassaforma, migliorarne il substrato di partenza ed effettuare una corretta concimazione, sono senza dubbio un ottimo punto di partenza per prendersi cura nel modo corretto dell’orto privato. In Figura 28 è possibile vedere come durante una luminosa, ma alquanto fredda giornata di dicembre, con temperatura registrata pari a -1°C, della semplicissima insalata riesce a vivere e ad essere produttiva nonostante sia noto come tale specie alle citate temperature abbia la tendenza a gelare e a marcire.
È senza dubbio possibile ottenere il medesimo risultato con decine di altre essenze semplicemente riparando con questa tecnica le piantine ed andando a migliorare le caratteristiche chimico-fisiche del substrato di coltivazione con prodotti minerali, ammendanti e concimi e lenta cessione consentiti in agricoltura biologica.
Bibliografia.
https://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale
http://www.crpa.it/media/documents/crpa_www/Settori/Ambiente/gdabenessere/guida53.htm
https://www.unionegeotermica.it/cosa-e-energia-geotermica.asp
http://www.bioyvy.com/il-ruolo-del-silicio.html
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